Draghi

venerdì 26 aprile ore 21

draghi

Open Doors

(studio)

Un’incursione shakespeariana nel mondo di George R.R. Martin.

 ‘Draghi’ è una drammatizzazione liberamente ispirata dal racconto di George Martin, ‘La principessa e la regina’. Si tratta di un prequel del più famoso ciclo delle ‘Cronache del ghiaccio e del fuoco’, che, in maniera scarna e cronachistica, narra la spaccatura all’interno della casa regnante e il tentativo di sostituire all’erede di diritto, la principessa, un erede maschio, figlio della regina.  È la guerra, che insanguina il mondo, e anche la vittoria aprirà il passo ad altre guerre, ancora. Per drammatizzare un racconto di gesta, si è scelto di procedere in modo molto colto, retrocedendo lo stile e la maniera di fare storytelling alle modalità shakespeariane, che i critici hanno ribadito essere state ispiratrici per Martin. Così la storia si snoda come un dramma di Shakespeare, scelta ribadita dai costumi, e contraddetta invece dal linguaggio, crudo e contemporaneo, e da tutti comprensibile. Lo spettacolo ha per punto di forza questo equilibrio originale, un uso all’indietro del modello (di solito si cerca di trascinare Shakespeare verso di noi, qui andiamo al contrario), verso un livello di alta cultura, e la speranza invece della partecipazione di un pubblico giovanile che verrà certamente attratto dall’argomento e dall’atmosfera dell’autore amatissimo.

Drammaturgia di Susanna Pietrosanti
Regia di Sergio Bulleri

Draghi s’incunea in un crocevia: da un lato le intuizioni geniali delle tragedie di Shakespeare, dall’altra l’ispirazione della dramaturg di fronte all’universo fantastico di George Martin (a sua volta, in una lunga collana di romanzi fantasy e di emulazione, influenzato da Shakespeare). Della vicenda shakespeariana si recupera l’universalità e la pienezza di sentimenti, millimetricamente in bilico sul punto di deflagrare. Di George Martin, un universo : uomini verdi combattono con uomini neri, per un trono, un’eredità, fuoco e sangue.

Draghi  traduce – e volontariamente tradisce – il suo riferimento testuale, valica i confini dell’Inghilterra shakespeariana per riprodurre un orizzonte ancestrale: una terra innominata  come terreno di archetipi, orizzonte di pulsioni dionisiache. A ritroso da una tradizione che ha sempre tentato di riportare Shakespeare alla contemporaneità, qui si gioca un gioco inverso: rifondere, tradurre e tradire lacerti shakespeariani, per riscrivere un dramma possibile e probabile frutto della sua penna. Le citazioni sono molteplici, dirette e riconoscibili o più sottili, mutevoli: il plot è pienamente shakespeariano, se l’analisi del saggio eponimo di Mario Ruggeri è esatta. Il nero, il fumo, i costumi dovrebbero evocano il senso costante delle forze soprannaturali che operano dietro tutte le azioni umane e pervadono questa tragedia: non solo le profezie e le apparizioni, ma la tensione e lo stupore continui, il ripetuto interrogarsi dubbioso, il tremore e il terrore, la qualità portentosa degli eventi, coinvolgono la natura, quasi il dramma consistesse in un urto tra due mondi, e tra due diverse famiglie, o diverse stirpi di draghi. Una scommessa pienamente shakespeariana, mettere in scena l’invisibile, il soprannaturale: Ariel, o le streghe di Macbeth: o i nostri draghi. Una scommessa contemporanea: come Alessandro Serra nel suo Macbettu ha riportato la tragedia scozzese in Barbagia, così Draghi tenta di azionare un meccanismo shakespeariano in un futuro, o passato, non definito, che è oggi, anche e soprattutto, e domani, un domani non ancora definito.

Così gloriosamente radicato nella tradizione shakespeariana, il testo dovrebbe però coinvolgere nuove fasce di pubblico, echeggiando, come fa, un universo caro ai giovani contemporanei, le avventure delle famiglie dei signori dei draghi che George Martin ha reso universalmente amate da milioni di lettori. Contiamo di riuscire in questa scommessa, utilizzare l’antico per rendere funzionale e affascinante il contemporaneo, e dare ali e radici insieme, scommessa che il teatro, talvolta, riesce a vincere.