Giulio Cesare

Giovedì 24 ottobre 2019 ore 21.30

Giulio Cesare

Studio teatrale liberamente tratto da
William Shakespeare

Con Michele Spanò, Francesco Deri, Michela Gatto
Luci e musiche Emanuele Visconti
Regia e scene Francesco Deri

“Il tiranno non è solo colui che tormenta i nostri giorni, spaventa il nostro vivere in comune e minaccia il nostro futuro; il tiranno viene spesso a trovarci nei nostri sogni, siede a tavola con noi, è al centro dell’attenzione durante un banchetto e colmo di vino, ci intrattiene.
Vorremmo ribellarci, affrontarlo, liberare il mondo dal suo dominio, ma egli governa il nostro sogno e, con una insospettabile grazia e allegria, ci ammansisce fino al mattino.
Quando all’indomani ci risvegliamo con una nuova, spregevole sensazione di noi stessi, il tiranno ci tiene per mano e piano piano, senza farsi sentire, suggerisce all’orecchio parole che cambieranno tutta la nostra lingua e infetteranno i nostri giorni a venire”

Questo lavoro sul Giulio Cesare si inscrive in un percorso di ricerca teatrale e artistica cominciato nel 2009. Il nostro gruppo, Angelus Novus, che non ha mai avuto una formalizzazione ufficiale, in quell’anno ha fondato e gestito per cinque anni un circolo culturale autonomo nel centro storico di Genova che si occupava espressamente di ricerca artistica, filosofica, letteraria e cinematografica.
Al centro del testo shakespeariano c’è lo scontro politico fra la repubblica e la tirannia, il confine di passaggio fra l’una e l’altra che sembra essere la minaccia dietro ogni angolo nel dibattito politico delle nostre repubbliche occidentali contemporanee. Un gran frastuono di discorsi, urla, proteste e lotte interne, fa da sfondo, dipinto dai mirabili dialoghi dei popolani e dei personaggi minori del testo, all’azione scenica del dramma.
Il centro dell’azione è la congiura e il tirannicidio, l’occasione politica estrema.
Nella nostra ricerca pensiamo che il teatro, come altre forme d’arte, debba offrire una lente di ingrandimento capace di mostrare le regioni più nascoste dell’animo umano. Ci proponiamo di recuperare quindi il valore sociale che aveva un tempo la tragedia greca, inteso nel senso di quel momento in cui, mediante la messa in scena teatrale, tutto il popolo poteva interrogarsi sui temi più difficili del vivere in comune, riguardo ai valori, le ideologie, i rapporti con lo straniero, e il proprio modo di affrontare la guerra e la politica. Potremmo quindi dire che questo teatro, era quell’occhio capace di sondare oltre ai remoti antri della coscienza individuale, anche quelli nascosti nell’anima collettiva di un popolo.
Seguendo gli insegnamenti di Artaud, Benjamin, Deleuze, Francis Bacon, Debord e altri, abbiamo spinto la nostra ricerca verso l’emancipazione del teatro dal dominio della rappresentazione. Ovvero abbiamo cercato e cercheremo in futuro, di offrire un teatro che non abbia fra i suoi compiti quello di esporre una sempre più dettagliata caratterizzazione psicologica dei personaggi, ne illustrare pedissequamente tutti gli eventi scenici al fine di raccontare la storia narrata nel testo che stiamo mettendo in scena. La ragione sta nel fatto che, dal punto di vista estetico, pensiamo che l’ambito artistico più adatto a raccontare una storia sia la letteratura, grazie alla straordinaria libertà di immaginazione che concede al lettore, mentre per esprimere un concetto logico-filosofico la forma linguistica più appropriata sia la scrittura saggistica, il seminario o la conferenza, e non l’arte. Per quanto riguarda il teatro invece lo abbiamo sempre pensato come il luogo adatto alla trasmissione
delle emozioni e delle sensazioni. Per disattivare quindi l’impianto narrativo come principale preoccupazione del lavoro teatrale (e per impianto narrativo intendiamo anche l’esposizione di un concetto logico-filosofico), abbiamo dovuto mettere al centro della nostra ricerca l’evocazione di una sensazione. La sensazione dominante di questo spettacolo è quella di sentirsi un minuto prima e un minuto dopo l’evento di sangue che cambia tutta la storia, il tirannicidio.
Un altro elemento cardinale sul quale abbiamo costruito questa regia è un tema fondamentale di molta scrittura shakespeariana, quello dell’identità e del ruolo, cioè il tema dell’essere nel mondo (Giulio Cesare è datato un anno prima della stesura di Amleto e alcuni versi sembrano dei diretti punti di incontro fra le due opere). Nel mondo moderno l’identità di ciascuno di noi è definita dalle azioni che ha compiuto e che lo hanno descritto a coloro che gli vivono accanto. “Siamo ciò che facciamo”, questa è la regola. Il lavoro è il dispositivo di identificazione per eccellenza delle società moderne. Chi non ha lavoro non ha posizione sociale, per gli altri è quasi una non-persona, oppure solo un peso oneroso. Da qui l’idea scenografica di un’officina e il continuo lavorare il ferro e il legno degli attori durante tutto lo spettacolo. Come se questa officina fosse una fabbrica delle identità in perpetuo lavoro.
Lo sfondo in cui si svolge l’azione è un continuo frastuono della storia, grida furiose di protesta e rivolta, rumore di ferro che cozza come in una guerra, confusione e inquietudine, sono una presenza costante per tutto lo spettacolo, intervallata solo dai momenti di solitudine: quando un personaggio rimane solo per un breve tempo e può sentire finalmente se stesso ma, scosso dalla sua coscienza

che lo chiama a dover compiere il fatto di sangue “per il bene di tutti”, la sua intimità si rivela essere più difficile da affrontare del mondo esterno.
I tre attori interpretano tutti i ruoli del dramma, ma non lo fanno come tanti personaggi diversi da caratterizzare psicologicamente. Ciò che interpretano gli attori sono gli eventi del dramma come se questi gli precipitassero addosso travolgendoli, come se la storia andasse più veloce di loro e nonostante tutti gli sforzi non riuscissero mai a dominarli nemmeno per un attimo.
Lo spettacolo è diviso in due parti: la prima rivive l’insorgenza dell’idea della congiura, l’organizzazione dei senatori guidati da Bruto fino ad una uccisione di Cesare che si perde fra i confusi eventi scenici del finale, senza riuscire ad inquadrarla o capire se effettivamente sia avvenuta oppure no. La seconda parte sono le conseguenze di ciò che è accaduto, il fallimento della liberazione auspicata da Bruto e la radicale impossibilità di emancipazione da una politica che vive di leggi oscure, incapaci alla comprensione umana.

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