Sebi Tramontana report Francesco Martinelli

IMG_6897 (640x434)live report Francesco Martinelli

Una luce rossa che taglia il palco disegnandone le alte arcate da cattedrale, una sedia rossa con un trombone brunito e lucenti sordine d’alluminio: Sebi Tramontana sta per cominciare il suo solo.
Ma il trombone all’inizio tace: Sebi cammina intorno alla platea cantando – trombettisti e trombonisti sono tutti un po’ cantanti – una vecchia canzone degli anni Trenta, You Do Something To Me. E’ una evocazione degli spettacoli di varietà che forse i palchi vuoti del teatro abbandonato hanno visto, dei grandi trombonisti del passato – Joe Tricky Sam Nanton, il maestro delle sordine – e di uno spirito in particolare, quello di Mario Schiano.

La libera improvvisazione è anche un rito di riconsacrazione dei luoghi e dell’atto di ascoltare, e per riconsacrare bisogna chiedere la protezione degli antenati, come nel voodoo… Canta Sebi creando intorno alla platea il cerchio magico: “You-Do That Voo-Doo That You-Do So Well…”.
La canzone si infrange e si frammenta mescolandosi con altre mentre il musicista siede al suo posto e imbraccia lo strumento. Il trombone è una meravigliosa macchina da suoni scoperta dalla musica africana-americana, e sviluppata dai musicisti europei guidati da Albert Mangelsdorff. Sebi ha assorbito tutta questa storia, e la mescola con la sua, di siciliano che vive a Monaco che passa da Pisa tra un ingaggio al museo Karl Valentin e una visita alla famiglia a Rosolini. La voce d’ottone si gonfia come quella di un baritono operistico, si fa vellutata come quella dei tromboni di Ellingron, si indurisce in un grido e poi esplode una nota che rimbalza su tutte le pareti del teatro. Non occorre elettronica per chi ha sviluppato tecniche di tale raffinatezza e personalità: note doppie e triple che creano melodie organistiche, mormori e soffi, frequenze infrasoniche che sembrano canti di mammiferi marini, poliritmie di taglienti staccati e percussioni sul corpo dello strumento. Il gioco delle sordine, che vengono prese, usate e poi abbandonate sul pavimento mentre il trombonista si sposta per fare risuonare le varie frequenze del teatro, e poi ritrovate come tracce e segnali di percorso, aiuta la continua modifica dei timbri, ma il filo narrativo non si spezza mai come quello di un cantastorie con le sue illustrazioni.IMG_6901 (427x640)
La temperatura non è alta, la città è scossa da una tempesta di vento, ma il musicista suda nell’impegno che assorbe tutto il corpo e tutta l’intelligenza, è un lavoro duro e serio, in cui si possono fare delle battute come muratori su un’impalcatura, ma che non devono distogliere dall’opera che cresce. Sudore, soffio, saliva, movimento, non sono nascosti ma fanno parte del processo creativo che si svolge davanti a noi, determinato dal luogo e da quella misteriosa comunicazione che passa tra ascoltatore e performer uniti dal suono, concetto apparentemente esoterico ma che chiunque si è mai esibito in pubblico anche solo come oratore ben conosce.

Nel virtuosismo classico si usano spesso metafore come “perfetto controllo” dello strumento, che diventa magari “docile”, ma qui il trombone non è affatto docile, anzi sembra dotato di volontà propria, assistiamo più a un dialogo che a un monologo: si scompone e si ricompone, interroga musicista e ascoltatori, non incorpora un lavoro morto per scodellare di un prodotto da consumare ma chiama a partecipare alla sua creazione.
Due improvvisazioni, due brani, due suite per trombone solo, separate da una breve pausa per riprendere fiato, che si concludono in una serie di clausole di perfetta logica ritmica, pietre di sostegno dell’arco narrativo che si è srotolato di fronte a noi. Note lunghe, poi uno schiocco delle dita contro la campana del trombone, come quello di un ipnotizzatore che risveglia il suo soggetto: “Tell me, why should it be / You have the power to hypnotize me?”.
Finisce il viaggio all’interno delle profondità del suono per cui dobbiamo ringraziare Sebi Tramontana e il Teatro Rossi Aperto che dà la possibilità di serate come questa.
Arrivederci al 17, 24 e 31 ottobre per altri tre Soli Rossi.

Francesco Martinelli