Monica Espina: tubi sospesi e tracce da imprimere e ascoltare

Cronaca di una giornata al Teatro Rossi Aperto con Monica Espina

Sabato 14 settembre si è concluso TRAcce di memoria – Dai una mano al Rossi, progetto – laboratorio proposto da Monica Espina, artista argentina direttrice della Compagnia Quebracho Théatre di Parigi. In una settimana la regista ha lavorato con gli attivisti del Teatro Rossi Aperto alla ricostruzione delle tracce del teatro in città, per rinsaldare, dice lei “il legame della città con il teatro, con quello che è stato in passato e con quello che è oggi”.

La presentazione pubblica è iniziata nel pomeriggio di sabato vicino al teatro, in Piazza Dante, dove tutti e tutte sono stati invitati a lasciare la propria traccia su un grande striscione allestito per essere colorato dalle mani di grandi e piccini. Un percorso di immagini, curato dal collettivo Outofline photo collective, ha poi guidato il pubblico verso il teatro, attraverso una strada di ritratti in bianco e nero incollati sull’asfalto: volti del TRA e di chi nei giorni scorsi ha attraversato il laboratorio “mettendoci la faccia”.

Nel foyer è stato il momento della proiezione delle video-interviste raccolte nello “speaker corner” organizzato durante la settimana da Monica Espina in teatro e per le vie della città. L’artista ha incontrato studenti nelle aule studio, ragazzi seduti ai caffè, passanti e non ultimo il ristoratore dell’osteria vicino al Rossi, custode di un prezioso dossier che raccoglie una vera e propria rassegna stampa su tutti i tentativi falliti di ristrutturazione e recupero del teatro. Accanto alle voci della città, il video raccoglie anche interviste ad artisti (Carlo Ipata, Ilaria Distante, Giacomo Verde) le cui memorie sul Rossi hanno permesso un viaggio lungo molti anni di abbandono. Una performance-sorpresa per il pubblico, giocata nell’interno della sala, ha segnato il momento conclusivo e più intenso della giornata.

Monica Espina ha voluto riattivare una comunicazione intima fra lo spettatore in platea e i lettori/attori nascosti nel buio dei palchetti, irraggiungibili. La traduzione scenografica di questa comunicazione/confidenza è avvenuta grazie a tubi in plastica (semplici corrugati elettrici) sospesi dai palchi del secondo ordine fino alla spoglia platea. Gli spettatori potevano camminare e scegliere un tubo da raccogliere, accompagnati dal montaggio fotografico – sempre di Outofline collective – che scorreva sul fondo del palcoscenico, sulle pareti dell’arco scenico. Dai tubi si sono liberate parole poetiche, aforismi, pensieri, testi teatrali, scelti e curati da Espina e dal Tra. “In un teatro in cui non si può accedere ai palchi, in cui non si può usare il palcoscenico , ha detto Monica Espina, possono comunque succedere molte cose, come questo anno di riapertura ha dimostrato. Questa performance che “smonta” il teatro, la sua concezione tradizionale, ha messo pubblico e attivisti in un rapporto confidenziale, lo stesso di cui c’è bisogno per creare fiducia e desiderio sulle possibilità di rendere questo spazio un luogo sempre più vivo”.

Fotografie a cura di Outofline Photo Collettive

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