Dimmi quando quando quando…

Il Teatro Rossi Aperto chiede un incontro pubblico alla Giunta Filippeschi

Sono mesi e giorni di interminabile campagna elettorale quelli che vive il Paese e, nello specifico, continua a vivere la città. Giorni convulsi e insicuri: un vuoto istituzionale che sembra non conoscere un orizzonte possibile di senso a cui corrisponde, di giorno in giorno, un vuoto di idee, di politica tout court. In questo clima, complesso e fosco, Pisa affronta la campagna elettorale per l’appuntamento delle amministrative del prossimo maggio, momento che in piccolo non può che riflettere gli squassi politici nazionali. Tranquilli, non siamo gli ennesimi opinionisti pronti a “sparare” la loro sull’analisi della fase, nemmeno quella cittadina. Forse perché, prima di analizzarla, questa comunità la viviamo – culturalmente e politicamente – da un particolare e “sublime” punto di osservazione: il Teatro Rossi Aperto. Così questa non è una candidatura dal basso dell’assemblea del Rossi per la città. Liberiamo il campo con queste premesse dovute perché in questi giorni è davvero difficile non incappare – come è forse ovvio che sia in un quadro di campagna elettorale – in mail, telefonate, comunicati stampa, dichiarazioni a mezzo stampa, voci a latere e di corridoio, – almeno in quel perimetro ideale che potremmo, nonostante la sempre più difficile e non chiara definizione, chiamare sinistra – al governo della città.  Siamo oggetto di un corteggiamento che giunge improvviso, dopo mesi di assordante silenzio, al più di pacche sulle spalle o di indifferente non presa di posizione. E così, come un coniglio dal cilindro, sbuca, qua e là in rete, fra i punti programmatici di queste prossime elezioni, nella più ampia e spinosa questione degli spazi sociali e culturali a Pisa e della loro gestione, il Teatro Rossi. Emerge dal sottosuolo, dopo 60 anni di abbandono, di colpevoli dimenticanze e di cattive idee di gestione e rifunzionalizzazione. Cosa è successo al Teatro Rossi, il più antico teatro della città per meritare queste attenzioni? Qualcosa è successo! Sei mesi fa si è avviata la riapertura del teatro con una domanda: Cosa può il Teatro Rossi aperto? In questi mesi abbiamo cominciato a costruire delle risposte e a scrivere una nuova storia. Se la storia del Teatro Rossi è quella di uno spazio bellissimo e senza avvenire (vista la difficoltà nel reperire finanziamenti e di pensare futuri possibili), la storia del Teatro Rossi Aperto è la storia (in divenire) di un progetto sperimentale di gestione di uno spazio pubblico, una gestione orizzontale che vuole inventare le sue forme forzando/superando le regole dell’esistente. La sequenza ri-apertura – riappropriazione – restituzione dello spazio, parla della capacità di partecipazione che può esprimere una collettività, ma ancor più parla di un nuovo inizio politico o di modi di fare politica. Il Teatro Rossi Aperto è molto più di un luogo di socializzazione: è la produzione viva di un contesto in cui abitano cultura, arte, teatro, pensiero, per rendersi disponibili a tutti, come fruitori e come partecipanti attivi; uno spazio reinventato dalla presenza di chi ha un progetto, un’idea, un desiderio da portare e condividere. Gli scorsi mesi hanno mostrato che il Teatro Rossi Aperto può liberare un potenziale di relazioni, socialità, una messa in rete di corpi e competenze, capaci di attraversare uno spazio impraticabile – stando alle norme della burocrazia – e di rendere vivibile un ambiente che nell’ultimo inverno è stato davvero freddissimo. Per questo, l’esperienza del Teatro Rossi Aperto deve continuare. Non si tratta di “recuperare” le mura e i palchi di questo teatro rimasto troppo a lungo senza attori e spettatori, ma di “riportarlo al presente”, lasciandolo abitato dalle relazioni che – prima di ogni restauro – lo hanno riconsegnato alla città.

Si è scelto di dire Aperto, e non occupato, segnalando con il linguaggio il desiderio di sperimentare e ideare un nuovo modello di gestione, non “occupare per sé” ma “aprire alla città”, a quella collettività che sa ancora fare e pensare e che troppo spesso è resa immobile e spaesata dai vincoli dell’esistente. Quale gestione è possibile per uno spazio ri-aperto e re-inventato da una collettività? Cosa significa aspirare a una gestione “comune” dello spazio? Intanto superare le dicotomie che si conoscono: legale/illegale, pubblico/privato, affidato/gestito. Cosa c’è oltre i modelli di affidamento a soggetti privati e/o pubblici-volontari degli spazi, cosa c’è oltre le logiche di spartizione dei beni comuni? Il Teatro Rossi Aperto non vuole muoversi come un’associazione e non vuole chiudere le sue porte a nessuno. L’Assemblea, lo spazio che sperimenta pratiche decisionali orizzontali, è composta da operatori teatrali, precari della ricerca, studenti, singoli cittadini che si prendono cura di un progetto dedicando ad esso tempo ed esperienza. Questa stessa assemblea si è assunta la responsabilità in questi mesi non solo di tenere vivo e curato quel teatro, ma di attivare una rete di relazioni sociali, professionali e artistiche che cominciassero a delinearne la sostanza culturale del suo possibile futuro, addirittura in una prospettiva europea. Se questa esperienza è in grado di promuovere la riappropriazione della gestione degli spazi e della cultura da parte della cittadinanza tutta, è perché si basa sull’assunto che la cultura è coestensiva alla vita: tutti, tutte produciamo cultura; la cultura si produce da sé e in ogni caso, le politiche culturali non servono che a darle una determinazione, una declinazione, una direzione. Sarebbe davvero difficile sintetizzare e nominare quanti vivono e offrono il loro tempo e la loro concretezza ideale e progettuale al Teatro Rossi Aperto. Un cantiere che ora ha la consapevolezza che non può vivere di limiti e contingenze, di provvisorietà e precarietà oggettiva degli spazi, di approssimazione o cadute di stile nel modello di gestione: un laboratorio di persone e di idee che intende provare a costruire un modello partecipato di gestione, accettando la sfida di una proposta culturale alta e ardua. Non siamo soli in questa sfida: nella devastazione e nella crisi di questi mesi e di queste ore, tante esperienze tessono la stessa tela, dal Teatro Valle di Roma al Garibaldi di Palermo, fino alle battaglie vinte del Cinema Palazzo di Roma e del Teatro Lido di Ostia.

Non siamo stanchi di viverlo così. Siamo stanchi, invece, dei troppi silenzi, di questi mesi. Siamo stanchi dei rimpalli di decisioni istituzionali che si dimostrano inconcludenti. Siamo stanchi e legittimamente irritati da discussioni sul Rossi che avvengono altrove, e coinvolgono quei pochi “poteri” decisionali della città che forse oggi sono chiamati a fermarsi, a riflettere, a cambiare la rotta delle scelte politiche e finanziare sulla cultura, a cedere il passo. Ad ascoltare, ad osservare, a imparare nuove pratiche e nuovi linguaggi, specie se il loro dizionario aggiunge ad ogni pagina troppe volte le parole crisi, tagli, sconfitte, scollamento dalla realtà che la gente vive o vorrebbe vivere quotidianamente. Siamo stanchi di decisioni rinviate, ancora non prese e più volte da noi riproposte.

Questa è l’ennesima richiesta, questa volta diretta.

Giace da tempo, in consiglio comunale una mozione proposta da Sel e approvata dal consiglio comunale a larga maggioranza. La mozione fa suo, di fatto, un assunto che “predichiamo” da mesi: l’attuale situazione economica rende poco probabile uno stanziamento di fondi destinati al Teatro, almeno nel breve termine, e questo rende ancora più inattuale il “nostalgico” (e mastodontico) progetto di restauro integrale del luogo. Abbiamo chiesto – come si evince anche dal testo della mozione del 28 febbraio 2013 [http://www.gonews.it/articolo_183911_Teatro-Rossi-il-Comitato-sulla-mozione-di-Sel-Dopo-cinque-mesi-di-immobilismo-da-dire-finalmente.html] – di procedere per piccoli interventi, partendo da ciò che già si è potuto ottenere con i restauri condotti finora. In questo senso, il primo passo da fare è prendere atto del fatto che il Teatro Rossi Aperto è abitato, e che continuerà a esserlo nei prossimi mesi. Senza queste forze che lo sostengono, il Teatro tornerà nell’abbandono: perché continui a vivere, è necessario il collaudo degli interventi già compiuti per il foyer e la platea, nel rispetto dello svolgimento delle sue ormai regolari attività. Nello stesso spirito, perché il T.R.A. continui a essere un contesto vivo di relazioni, idee, di socialità, perché al suo interno si riesca ad immaginare una politica culturale all’altezza delle sfide del presente, le istituzioni locali devono assumersi alcune responsabilità. Il minimo che il Comune di Pisa possa fare per risarcire la città della sottrazione di un bene tanto prezioso è intervenire a sostegno delle spese per le utenze. Del resto, per citare un precedente,l’amministrazione di centro-destra del Comune di Roma non ha mai smesso di pagare le utenze del Teatro Valle Occupato, e non certo per aprioristica complicità politica!

Alle mozioni, anche una Giunta e un Sindaco in scadenza, sono tenuti a dare risposte conseguenti. Di qui la richiesta, che rendiamo pubblica con questo documento, di darsi appuntamento in comune, per avere un confronto e risposte dirette dai rappresentanti istituzionali di questa città. Richiesta, la nostra, assolutamente trasparente. Scelta condivisa, la nostra: è quella di interpretare il ruolo del Rossi in questa troppo spesso retorica e grigia campagna elettorale cittadina partendo da quello che siamo e facciamo da sette mesi. Non siamo un punto di nessun programma: siamo un nodo scoperto, che scotta, e che chiama alla responsabilità quanti rappresentano hic et nunc questa città nelle sue più istituzioni più significative. Se di gruppo di impegno si vuole parlare, come ha tenuto a definirci il Sindaco Filippeschi in un articolo apparso sul Tirreno di qualche giorno fa, allora rispondiamo che in effetti ci vuole un grande impegno quotidiano per trasformare un teatro del ‘700 abbandonato in uno spazio di creazione a tutti i livelli: artistico, culturale, politico. Sta all’impegno comune di tutti, prima fra tutte la politica, prendere atto che ciò che si è prodotto in questi mesi merita confronti, risposte. Soprattutto se ciò che si è prodotto al Rossi in questi mesi fa parte di un progetto, eticamente e politicamente molto più importante: quello, come Salvatore Settis ha detto di recente in un’intervista, citando le esperienze pisane dell’Ex-Colorificio e del Teatro Rossi Aperto, “strade molto interessanti per riappropriarsi della cittadinanza”.

L’assemblea del Teatro Rossi Aperto

voi ci avete provato, noi ci siamo riusciti

 
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