I Predatori del Teatro Perduto

i predatori del teatro perduto

I predatori del teatro perduto

Dal Teatro Rossi Aperto, note a margine sulle amministrative a Pisa

C’è un detto che dice: “domandare è lecito, rispondere è cortesia”. Ma dalle parti del centro-sinistra pisano non deve essere molto noto, né molto praticato. Peccato! Perché se gli estensori delle 90 pagine del programma di Andrea Serfogli e dei suoi sostenitori avessero chiesto, ad esempio, cosa ne è stato del Teatro Rossi Aperto in questi ultimi due anni beh, forse avrebbero evitato di scrivere le castronerie che si leggono a pagina 49 e 88 in tema di cultura e Teatro Rossi. Sciocchezze, falsità, imprecisioni che più che essere l’esempio di un’idea o di una prospettiva che in questo programma si avanzano sul futuro del teatro (!), dimostrano – in maniera grottesca – di non sapere cosa è ufficialmente successo in questi lunghi mesi nella lunga trattativa con la Regione Toscana. Trattativa in cui il Comune ha latitato, talvolta balbettato, e lo sa bene la coalizione che si candida a governare Pisa: l’amministrazione comunale uscente, di cui il candidato sindaco era assessore di punta, non si è mai assunta alcuna responsabilità, nonostante il nostro tentativo strenuo di tenere in partita un ente territoriale che invece ha traccheggiato, sfruttando il fatto di non essere proprietario del bene (il Teatro Rossi è del demanio dello Stato), e respingendo al mittente la proposta di finanziamento che veniva dalla Regione per avviare il recupero.

L’Associazione Teatro Rossi Aperto – che da quasi 6 anni restituisce giorno dopo giorno alla città un bene che è rimasto chiuso e abbandonato all’incuria per 60 anni– si è fatta motore della trattativa, in maniera tenace, a dispetto della miopia, della sordità, delle incapacità istituzionali di trovare soluzioni sostenibili per la riapertura del teatro. L’unico interlocutore che ha creduto a questa scommessa è stata la Regione Toscana, che attraverso l’impegno diretto del suo Presidente ha reso attuabile la questione fondamentale: il trasferimento del bene dal Demanio alla Regione mediante il federalismo demaniale. Volevamo comunicare questa notizia (che pure è uscita sui giornali) ai signori male informati che scrivono “che lo Stato deve recuperare il Teatro Rossi, cedendolo poi, gratuitamente, al Comune” (p. 88 del programma). A questo punto la domanda nasce spontanea: ma davvero chi si candida a governare Pisa può mostrare tale incompetenza? Ma c’è davvero da credere che solo per superficialità nello scrivere un programma di 90 pagine sia stato omesso quello che non è un dettaglio, ma un atto ufficiale della Regione Toscana, frutto di una trattativa di due anni e mezzo di cui il Comune è sempre stato tenuto al corrente? E ancora: i così tanti “buoni” sostenitori del progetto del centro sinistra a Pisa, contro l’avanzata delle destre, così presenzialisti in fatto di cultura, non si sono minimamente premurati di cercare un confronto, di capire, di misurarsi democraticamente con un’esperienza reale e diffusa quale è il TRA? Le domande sono retoriche, evidentemente. Perché le risposte, a onor del vero, il programma di Serfogli le fornisce a p. 49:

“Conferma della centralità del Teatro Verdi nella offerta di eventi e spettacoli e nella possibile gestione di altri spazi (San Zeno, Teatro Rossi) […] Rispetto al Teatro Rossi, come detto nel capitolo relativo ai rapporti con il Governo centrale, è necessario che venga colta la disponibilità della Regione per il finanziamento di un primo parziale intervento di recupero. Il Comune si impegnerà nella interlocuzione con il Mibact, affinché il bene sia recuperato e ceduto gratuitamente al Comune per una gestione integrata con il Teatro Verdi e con il potenziale coinvolgimento dei gruppi d’impegno culturale che perseguono direttamente l’obiettivo di un uso pubblico dello spazio”.

Apprendiamo così di aspirazioni costruite altrove, di mondi visti chissà dove, giocando su altri tavoli, ignorando l’esistente, praticando la politica delle annessioni e delle centralizzazioni, più che delle connessioni. È un atteggiamento predatorio, che divora le esperienze multiple di chi ha vissuto e fatto vivere il Rossi, e che dà la misura della distanza fra il tessuto vivo della città e di una delle sue tante realtà, da un lato, e la logica partitica (alle corde) locale dall’altro. Si cancella quel che è stato fatto e si pretende di scrivere su carta bianca, perseverando nella fallimentare e costosa abitudine di ristrutturare spazi a suon di milioni lasciandoli vacanti di ogni progetto culturale fattibile (e qui gli esempi si sprecano: SMS, Domus mazziniana, bastione San Gallo, Arsenali medicei…).

Il Teatro Rossi, chiuso, era una ferita che stiamo provando a curare. Per il Teatro Rossi Aperto, ci sono due elementi fondamentali, forse parziali:

  1. Essere garanti attivi di un recupero funzionale del bene, e per questo abbiamo portato avanti una trattativa che potesse rendere agibile il teatro a costi sostenibili;
  2. Tenere sempre aperto un cantiere che pensi e realizzi la gestione e la vita culturale del Rossi, in questa città e con uno sguardo lungo, oltre questa piccola provincia. Non abbiamo mai chiesto assegnazioni improprie, ma abbiamo provato – con i limiti e la fatica di chi è privato di ogni strumento – a ragionare senza un’ottica di lottizzazione degli spazi. Leggendo questa vicenda all’interno di un capitolo più grande, quello della cultura a Pisa e di chi vi opera, si evince, da queste pagine programmatiche, una mancanza di visione complessiva su come è cambiata Pisa negli ultimi 20 anni.

Chi ha scritto quel programma non ha capito che in questa città si è consolidata una cultura civile e politica di come curare e vivere lo spazio pubblico fuori dal circuito strettamente burocratico-istituzionale, sia esso fatto di piccoli feudi intoccabili o ingombranti cabine di regia centralizzate. Questa mancata comprensione è la dimostrazione più lampante del circolo vizioso in cui si è avvitato il dibattito: movida-degrado-sicurezza; movida-degrado-sicurezza; movida-degrado-sicurezza…

L’associazione Teatro Rossi Aperto ha cercato lavorare per la cura dello spazio pubblico, creando offerta culturale, unendo saperi, tessendo relazioni, verso la creazione di un laboratorio condiviso e aperto di produzione e programmazione culturale che ascolti le eccellenze nei diversi ambiti culturali, ma dia anche spazio a chi sta iniziando un progetto nelle arti performative, musica e arti visive e spesso non trova ascolto in chi amministra risorse e spazi in città. Chi volesse leggere un’altra storia da quella malamente raccontata in questi programmi di contingenza può sfogliare il tomo di 600 pagine con i primi quattro anni delle nostre attività.

Al dunque, leggiamo, sempre a p. 49, di un “Potenziale coinvolgimento dei gruppi d’impegno”, parlando di noi: timida espressione per non permettere a nessuno di dire che non sei stato citato e preso in considerazione come possibile soggetto interlocutore di un progetto, ma anche ottima via d’uscita per poterti poi escludere dal dialogo, con scuse e motivazioni improvvisate o determinate da dinamiche di potere politico locale. E così si sceglie la via facile: si esclude, si rinchiude, si limita il perimetro del confronto.

Trasformare il sistema culturale della città è un’ottima idea, alla buon’ora, visto che non c’è nessun tipo di razionalità né innovazione nel modo in cui, in questi ultimi anni di amministrazione Filippeschi, sono state gestite le risorse per la cultura, spesso disperse a pioggia senza indirizzo e valorizzazione dei progetti di qualità, che nonostante tutto resistono e rendono e renderanno viva ancora la città.

Abbiamo dimostrato alla città di essere una risorsa (circa 800 eventi in quasi 6 anni, fra cui per rappresentazioni teatrali, concerti e serate musicali, proiezioni cinematografiche, danza, installazioni, mostre, presentazione di libri, incontri con gli autori, residenze, espressioni di arti visive, laboratori di vario genere, incontri pubblici formativi, produzioni originali, assemblee pubbliche, ecc. …senza che un centesimo sia intascato dall’ Associazione Teatro Aperto ed i suoi soci). Maldestramente e in più occasioni, le stesse istituzioni hanno dovuto riconoscerlo, tra bocche storte e pacche sulle spalle. Questa risorsa è nata e cresciuta nello spazio Teatro Rossi e qui deve crescere e diventare matura grazie alla collaborazione con gli operatori della città (come sta già avvenendo per molti percorsi culturali cittadini) e con quanti in decine e decine di progetti e iniziative hanno calpestato lo spazio Rossi in questi anni. È solo grazie a chi nel teatro opera, a chi c’è e partecipa, alle loro critiche, ai loro consigli che possiamo immaginare il futuro del teatro.

Non accetteremo – da nessuno – che il laboratorio creativo del Teatro Rossi Aperto venga risucchiato in logiche di sistema e spartizione provinciale di piccoli presidi politici fintamente destinati alla cultura.

C’è amarezza e scoramento fra queste righe. Vivere da un lato con la consapevolezza di una minaccia concreta nell’avanzata dei fascioleghismi in città, e dall’altro assistere a un processo di dilapidazione e frammentazione di cultura politica. Dentro questa morsa resistere e allargare la partecipazione e la condivisione nella vita culturale è un dovere di cittadini.

Il 27 Settembre 2012 (data della riapertura del Teatro) sapevamo tutti che il riconoscimento dell’ Associazione sarebbe stato il nodo più difficile da sciogliere in virtù di un vuoto giuridico che non prevede alcun attestato di legalità per coloro che illegalmente lo hanno ampiamente guadagnato nel tempo trascorso e quello che trascorrerà.

Noi non resteremo a guardare come innocenti angeli del bello, o volontari della cultura pronti ad accomodarsi all’uscita, perché stiamo costruendo insieme a parti della città il progetto “Cosa Può il Teatro Rossi Aperto”.

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