Discorso di apertura della tre giorni

VOI CI PROVATE NOI CI RIUSCIREMO 

Benvenuti al Teatro Rossi Aperto, questo per noi è un grande giorno, un giorno in cui questo spazio si apre ulteriormente, a nuove idee, nuovi progetti, nuovi corpi che lo vengono ad abitare .

Noi lo chiamiamo “aperto”, in contrapposizione allo stato in cui il Teatro Rossi è stato per anni, chiuso. Chiuso e senza vita, senza un progetto. Chiuso se si escludono gli episodi in cui si è cercato di ridare vita a questo luogo. Senza un progetto se si escludono i progetti senza vita e senza futuro a cui le istituzioni lo hanno di volta in volta destinato senza arrivare da nessuna parte.  Ma questa riapertura, l’ultima, la più recente, quella iniziata ormai quattro mesi fa, passa da un’occupazione, un gesto illegale, se stiamo ai codici dell’esistente, una forzatura che serve a mettere in discussione proprio ciò che è legale e ciò che è illegale. Ed è interessante fermarsi a pensare che è stato proprio un gesto illegale a far tornare questo luogo un luogo pubblico, vivibile, un luogo di tutti. Per questo il Teatro Rossi Aperto, come gli altri spazi occupati in questo momento in Italia, sono dei laboratori di democrazia, dei luoghi in cui si mette alla prova l’esistente attraverso pratiche complesse che attivano l’intelligenza collettiva, quel potenziale così sprecato e depotenziato dalle istituzioni senza ossigeno in cui spendiamo le nostre esistenze.
Il luogo in cui siamo oggi è un teatro, un teatro che ha bisogno di essere rimesso in funzione, e che ha bisogno della “chiamata alle arti” di cui questo workshop è un esempio: le arti di tutti, quelle tecniche, quelle specialistiche e quelle che non si muoverebbero senza lo slancio di immaginazione di cui siamo tutti ancora capaci. Vogliamo che  questo luogo torni ad essere un teatro vero, vivo, che funziona, che accoglie la capacità di dire, di creare, di mettere in scena, di liberare i corpi nella danza e nella musica, ma lo abbiamo pensato anche come un agorà, un luogo di incontri, di relazioni, di contese, di conflitti. Agorà è una parola antica, richiama quell’esordio della democrazia di cui l’occidente si è detto per secoli inventore, il centro della polis su cui si è costruita la nostra idea di politica e di democrazia.
Oggi è evidente a tutti che la democrazia ha bisogno di essere ripensata radicalmente, di riaprirsi all’idea di giustizia, quella giustizia invocata da Antigone, fuori dalle mura della città. Ieri sera parlando nel foyer, Lecat diceva che bisogna fare Antigone nei teatri di tanto in tanto, che bisogna ricordarsi della sua tragedia e della sua forza, ma che non ci si può fermare ad Antigone, bisogna esigere di entrare in città, modificando i sistemi di accesso. E forse non è un caso che proprio nei teatri si stiano sviluppando movimenti e forme di azione la dimensione puramente negativa della protesta alla ricerca di nuove pratiche che rivendicano sovranità. Ci piace pensare che quello che faremo in questi giorni, insieme, è uno dei tanti inizi possibili di un nuovo modo di fare, di pensare e di progettare futuro.
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