Gli abiti medievali non ci donano

Gli abiti medievali non ci donano

Il 23 marzo il Teatro Rossi Aperto ha incontrato il nuovo assessore alla cultura Andrea Ferrante, insieme al sindaco Marco Filippeschi, per una convocazione chiesta da tempo. È stato un momento interessante, un parlare franco e diretto. Abbiamo capito che l’obiettivo di una riapertura “ufficiale” del teatro attraverso un percorso partecipativo non può contare che in un contributo più che marginale da parte dell’amministrazione comunale. Come TRA abbiamo messo sul tavolo una richiesta precisa: far partire un meccanismo di federalismo demaniale, trasferire la proprietà del Teatro dal demanio al Comune, e iniziare un percorso di recupero a piccoli passi, puntando prima di tutto alla rimessa in funzione dello spazio (agibilità, messa in sicurezza, pulizia, sistemazione di platea e primo ordine e ripristino degli impianti di riscaldamento). Una proposta che non nasce da velleità campate in aria, ma che trova fondamento sostanziale nella disponibilità della Regione Toscana, incontrata da una delegazione del TRA a febbraio, a finanziare una prima fase dei lavori per il recupero funzionale del teatro. Di fronte a questa apertura di credito che la Regione si impegnava a mantenere in un’interlocuzione istituzionale con un ente come il Comune in grado di alienare a sé il bene, c’era da sondare una volontà tutta politica dell’amministrazione comunale ad accogliere questa sfida. Una complessa sinergia fra soggetti differenti necessaria a realizzare quello  che il TRA richiede da tempo: far partire un processo, portare a buon esito la faticosa ricerca di interlocuzione con le istituzioni, immaginare una soluzione in grado di risolvere il problema della titolarità legale necessaria alla riapertura del Teatro Rossi superando la farraginosità di meccanismi burocratici ingessati e fallimentari, incrostati da logiche e meccanismi di potere stantii.

Il problema è politico, ovvio, ma merita ridirlo.

Pensare ad una progettualità concreta per la riapertura dello spazio valorizzando un laboratorio politico di cittadinanza attiva, tenace, costante, che non solo non si arrende, ma che chiede di non essere confinata dentro il comodo alibi dell’illegalità, dell’occupazione. Il Tra non ha mai chiesto l’assegnazione del bene. Ha chiesto e chiede che gli venga riconosciuto formalmente il ruolo di garanti all’interno di un processo che vuole  mettere lo spazio nelle condizioni di diventare il teatro delle progettualità culturali di tutti, non di una parte.

L’iniziativa in corso della Chiamata alle arti promossa dal TRA ne è la prova vivente. Ed è proprio di fronte a questa richiesta, di un protagonismo responsabile, che si legittima nella pratica e nel dialogo, che l’istituzione  si trova  spiazzata, afona. Lì dove sarebbe infinitamente più semplice posizionarsi nello schema classico di una conflittualità che si gioca su parti opposte – io sono l’istituzione, tu sei l’occupante e ognuno difende il suo ruolo –  noi abbiamo provato invece ad applicare una logica diversa che dice pressappoco così: ci sono tutte le possibilità, sostanziali e politiche, perché il Teatro Rossi non venga destinato a un abbandono futuro. Ci sono le possibilità di valorizzare l’esperienza portata avanti in due anni e mezzo, nel rispetto dello spazio e nella solidarietà ricevuta da chi il TRA lo fa vivere e lo frequenta. C’è una progettualità da rafforzare e sostenere, ci sono precedenti in altri teatri, italiani ed europei, che fanno da apripista per capire come affrontare i vincoli istituzionali. Ci sono tutti i margini, legali e politici, per riconoscere l’impegno dei cittadini, così come detta la Costituzione, così come la stessa Soprintendenza di Pisa, a direzione Stolfi, non ha avuto problemi ad ammettere e riconoscere. Però proviamoci, tutti e tutte insieme.

La proposta, articolata ma praticabile, non è piaciuta a Sindaco e Assessore alla cultura, che proprio non ci pensano a «mettersi in casa» il peso di un bene del genere, con tutto quello che può costare di ristrutturazione, con tutto quello che potrebbero comportare nuove forme politiche di gestione di fronte alle pressioni di un establishment di questa città. Quello che il Sindaco può fare per il TRA è mediare con il nuovo Soprintendente e, magari, convocare a un tavolo anche la Regione, che si è detta disponibile. Provare, chiedere, verificare, rimandare all’infinito. Far passare altri mille anni in cui probabilmente le cose continueranno a rimanere come sono. E poi, alla fine dell’incontro, una domanda/richiesta del Sindaco ha chiarito il senso di tutto questo parlare: “Perché non pensate di sviluppare questa indubbiamente valida progettualità culturale altrove, in un altro spazio?”, come a dire: perché non mi mettete nella condizione, secondo lo schema di gioco che posso giocare, di farvi riconoscere da questa istituzione, valutando la progettualità culturale di cui siete capaci su un terreno di rappresentatività politica differente, in un luogo più neutro, di modo che “altri” non abbiano di che lamentarsi?

No, signor Sindaco, no. Noi vogliamo che il Teatro Rossi torni ad essere di tutte e di tutti, per tutti, per questa città, per chi fa cultura in questa città, senza creare nicchie chiuse, buone o cattive, a seconda delle stagioni e dei rapporti di forza. Noi non siamo i volontari dei beni culturali o i guardiani della vita artistica di Pisa, non siamo anime belle, custodi relegati nel silenzio e nell’abbandono di uno spazio. Non abbiamo un’attività culturale in cerca di spazi, abbiamo uno spazio culturale che deve tornare a vivere e funzionare. Non abbiamo un programma culturale a disposizione di parti politiche a cui essere più o meno vicini. Abbiamo un progetto che vuole vivere e un’esperienza che mettiamo a disposizione di tutti e che già oggi può rappresentare un laboratorio di pratiche e di idee per tutte quelle istituzioni culturali che, in tempi di crisi, hanno la necessità di  escogitare nuove economie.

Ricordiamo al signor Sindaco che nel programma di mandato c’è il recupero del Teatro Rossi. Noi ci stiamo impegnando a creare le condizioni concrete di una possibilità, ripetendo che non occorrono investimenti faranoici ma la voglia – tutta politica – di sperimentare nuovi percorsi.

«Mettetevi nei miei panni» ci ha chiesto Marco Filippeschi, alla fine. E peccato che non fossimo già al 25 marzo, glorioso giorno del Capodanno Pisano, così sarebbe stato più facile rispondere che gli abiti medievali non ci donano.

Teatro Rossi Aperto